Quali sono i risvolti culturali che
permeano le scelte politiche e sociali della vita
nel nostro Paese?
La riflessione si muove
dalla constatazione che il mondo infantile
è considerato attributo di quello adulto. Ad esempio: la PAS (Sindrome di alienazione parentale).
Parliamone
Benchè tale Sindrome sia stata ufficialmente disconosciuta dalla comunità
scientifica nazionale e internazionale, essa continua ad essere presente in
molti tribunali e, in latenza, nelle
intenzioni di molti ausiliari dei giudici che, eludendo la necessaria fase
indagatoria al fine del riscontro di
dati oggettivi, nel caso di conflitti genitoriali si appoggiano ad un uso
indiscriminato della psichiatria/psicologia, segnando l’inidoneità di uno dei
due genitori quale conseguenza del rifiuto dei figli ad avere relazioni, o
rapporti temporalmente uguali, con l’altro genitore. Con l’utilizzo della PAS
(che, è bene ricordarlo, si vuol far passare come malattia mentale ma che è
stata disconosciuta dalla comunità scientifica nazionale e internazionale) si
attua una totale contrapposizione con la scelta dei figli verso il genitore
preferito, considerato malevolo perché condizionante, e li si cura seguendo uno specifico protocollo
volto alla riprogrammazione affettiva degli stessi in percorsi psicoterapeutici
svolti in ambiente neutro (istituti in cui i bambini dovranno soggiornare anche
per anni, lontano dai propri amici e dai parenti frequentati quotidianamente
nonchè dai propri luoghi conosciuti) al fine di permettere il totale distacco
emotivo dalla realtà affettiva pregressa. Al termine del processo di
riprogrammazione i bambini saranno affidati in via esclusiva al genitore
inizialmente rifiutato.
Il tutto, si ripete, in esclusione delle indagini sui casi
specifici nell’analizzare i rapporti tra i genitori e i figli prima della
separazione. Il fenomeno si è notevolmente e tristemente espanso e, anche dove
non vi sono epiloghi drammatici come quello descritto, ha permeato di fatto
tutto il sistema culturale e sociale.
La Pas presuppone che qualunque rifiuto di un bambino nei
confronti di un genitore sia il sintomo di una patologia
psicologica/psichiatrica indotta dall’altro genitore. Dunque vi sarebbe un
bambino malato, un genitore alienato e un altro alienante. Il genitore
alienante sarebbe generalmente la madre, in quanto più spesso collocataria
rispetto al padre. Il collocamento prevalente favorirebbe sentimenti di
rivendicazione nella strumentalizzazione del bambino, indotto all’odio verso il
padre. Questo comportamento presupporrebbe inoltre altri stati patologici nella
psiche materna, definita malevola in quanto rancorosa verso l’ex compagno.
Infine, il livello di collera della donna, esplicitato attraverso l’uso della
prole contro il nemico padre, ne svelerebbe una personalità borderline.
Tale schema, così sinteticamente descritto, si è ripetuto
innumerevoli volte negli ultimi anni ed è stato accompagnato da un’intensa
propaganda mistificatoria tendente a mettere sotto accusa le madri denuncianti,
in quanto “sicuramente alienanti”. Il punto è che la diagnosi di “Pas” è
effettuata solo sulla base del rifiuto di un bambino a frequentare o ad avere
gli stessi tempi di relazione con entrambi i genitori. La parte pregiudiziale è
proprio nella mancanza di indagini sulla natura delle relazioni pregresse tra i
figli e i genitori. Nessuno nega che vi possano essere genitori che
corrispondono ad un preciso modello alienante: genitori che in effetti spariscono nel nulla con i figli
al seguito, impedendo la relazione con l’altro genitore, radicando nei figli il
sentimento di abbandono dell’altro. E’ ovvio: nella casistica dei comportamenti
criminosi tutto è possibile. Ma genitori che comunicano ai figli odio verso
l’altro genitore laddove i figli invece nutrono amore e attaccamento,
normalmente generano l’effetto contrario: ovvero attirano su di sè il disprezzo
dei figli che, anche se allontanati, continueranno a chiedere e a manifestare
l’attaccamento al genitore non più presente. Per di più, in un rapporto normale
tra genitori e figli spesso sono gli stessi figli che continuano a chiedere la
presenza dei genitori anche quando questi ultimi, per loro volontà o altre
esigenze, si allontanano! Inoltre,
spesso tale diagnosi è suggerita dagli ausiliari del giudice (assistenti
sociali e tecnici incaricati), che appunto trovano in una soluzione
preconfezionata, da relazionare al giudice, un veloce epilogo al loro
interessamento sui casi assegnati. In tutto questo c’è da considerare che
·
i bambini non sono mai ascoltati: i loro
comportamenti sono solo interpretati attraverso le parole dei genitori (che
ovviamente diranno cose diverse)
·
la conflittualità tra i genitori, per qualunque
motivo (anche nel caso di denunce di abusi e maltrattamenti) favorisce spesso
l’allontanamento dei bambini in Istituti e il loro sradicamento dalla famiglia
di origine (compreso i nonni e gli zii, visti come collaboranti nel conflitto)
·
nel caso di sentenza con diagnosi di PAS il
bambino, riconosciuto come malato (ripetiamo: in modo assolutamente
inopportuno), viene curato con il seguente protocollo (codificato dal suo
teorico R. Gardner):
1. la
terapia della minaccia “Se non vai
con papà non vedrai mai più la mamma” (terapia a volte messa in atto dagli
assistenti sociali)
2. allontanamento
in Istituto lontano dal proprio ambiente per favorirne la “riprogrammazione” affettiva attraverso lo “scollegamento” con la realtà affettiva pregressa, compreso la
scuola di provenienza e tutte le altre attività svolte sino ad allora dal
bambino (tutti i neretti sono stati
ripresi da relazioni e sentenze emesse)
3. affidamento
esclusivo al genitore rifiutato e allontanamento dal genitore cercato.
A questo si aggiunga l’anomalia della mancanza del diritto
al contraddittorio nei Tribunali dei Minori (non in quelli Ordinari), per cui
può capitare che una sentenza sia emessa senza l’audizione degli interessati ma
solo sulla base delle relazioni fornite dagli ausiliari del giudice (che, come
detto, spesso non indagano sulle relazioni pregresse e tendono a punire la
conflittualità del genitore maggiormente denunciante), così come accade che una
diagnosi sia effettuata senza il diagnosticato. La domanda è: tutto questo
considera che l’affido condiviso è un diritto del bambino e non degli adulti? Siamo
certi che, a prescindere dai torti e dalle ragioni dei genitori, sui quali si
dovrebbe pur indagare (e le denunce servono a questo), si stia applicando la
legge sull’affido come è scritto e cioè
diritto dei figli e dovere degli adulti e non viceversa, ovvero dovere dei
figli (di frequentare entrambi nello
stesso modo) e diritto degli adulti (eventualmente
di stare vicino ai propri figli)?
Infine, è proprio il caso di sottolineare che questa PAS è
stata ufficialmente disconosciuta dalla comunità scientifica e, per l’ennesima
volta, non è stata inserita del DSM (Manuale diagnostico delle malattie
mentali) quindi il suo uso dovrebbe essere vietato nei Tribunali per lo stesso
motivo per cui non si può ricevere la pensione di invalidità per una malattia non
riconosciuta. Il Movimento Per L’Infanzia, di cui l’Associazione L’ Universo
Dentro è membro, è impegnato da anni nella sensibilizzazione culturale verso
gli spropositi conseguenti all’abuso della Psichiatria e psicologia quando ci
sono figli contesi, nell’affermazione del diritto del bambino ad essere
ascoltato per essere effettivamente tutelato e protetto dagli abusi (di
qualunque tipo), nell’asserzione della
necessità di svolgere indagini sui singoli casi e nella necessità di denunciare
le condotte pregiudiziali che possono determinare danni serissimi nei bambini e
nel futuro della società.
E’ importante che la società cominci ad interrogarsi
sull’angoscia che in questo momento stanno vivendo migliaia di bambini (per non
dire famiglie) e sull’opportunità di essere consapevoli che, al di là delle
situazioni più drammatiche, esiste un sostrato di pensiero collettivo che va
sradicato: il pregiudizio suggestivo, ovvero il giudizio prima dell’indagine e
della prova oggettiva. E’ importante che si consideri che in fondo a questo
gusto per il pregiudizio vi sono gli stessi bambini che vogliamo difendere
nelle nostre leggi e verso i quali ci sentiamo umanamente e prioritariamente
coinvolti.
Vittoria Camboni.